Nell’ambito delle società di persone, i prelievi dei soci effettuati durante l’anno possono dare luogo a criticità sul versante fiscale se eccedenti l’utile conseguito dalla società.
La parte eccedente l’utile potrebbe essere ritenuta un utile conseguito dalla società in evasione di imposta, quindi da tassare in capo al socio in ragione della trasparenza, oppure l’ammontare prelevato potrebbe essere riqualificato in compenso spettante per l’attività di amministrazione della società, per i soci amministratori.
L’art. 2303 c.c. prevede per le snc e, in ragione del rinvio dell’art. 2315 c.c., per le sas, il divieto della distribuzione degli utili fittizi: non è quindi possibile dare luogo a ripartizione di somme tra soci se non per utili realmente conseguiti.
Da ciò deriva che il reddito percepito dal socio in violazione di questa disposizione ha natura illecita e va comunque tassato ai sensi dell’art. 14 comma 4 della L. 537/93. La natura illecita del reddito non ne muta la qualificazione giuridica, quindi i prelievi eccedenti gli utili rimangono redditi di partecipazione da tassare in ragione della quota posseduta.
Non sempre, tuttavia, i prelievi dei soci sono necessariamente sintomo di utili “neri”.
Nella fattispecie esaminata dalla C.T. Reg. Torino 4 ottobre 2021 n. 845/3/21, la pretesa erariale è stata annullata in quanto dalla contabilità della società emergeva un credito nei confronti dei soci e ai prelievi dei soci conseguiva un aumento dell’esposizione bancaria. Poi, si trattava di attività aziendale che mal si presta alla distrazione di fondi (subforniture di multinazionali nel settore delle automobili).
Il problema può emergere da una indagine bancaria effettuata ai sensi dell’art. 32 del DPR 600/73 in capo alla società per i prelievi non giustificati o nei confronti del socio per gli accrediti. Considerato che le società di persone, per loro natura, producono solo reddito di impresa, sia i versamenti sia i prelevamenti non giustificati si traducono, per presunzione legale relativa, in ricavi non dichiarati ferma la prova contraria.
Nei confronti della società, se risultano importi bonificati dalla società al socio nessuna presunzione può operare, posto che emerge in modo evidente il beneficiario, ovvero il socio stesso.
Possibile la riqualificazione in compensi
Invece, se il prelievo avviene in contanti tutto è più critico e, in assenza di idonea giustificazione, potrebbe operare la presunzione e il maggior reddito accertato, sia pure per presunzione, verrebbe imputato ai soci per trasparenza.
Se la prova contraria consiste nell’affermata restituzione, al socio, di un finanziamento in precedenza erogato da questi alla società occorre dimostrare non solo la presenza del finanziamento, ma anche la causalità tra l’accredito e il finanziamento medesimo (Cass. 20 ottobre 2021 n. 29060).
Nel caso analizzato da altra giurisprudenza le somme prelevate dai soci in misura eccedente l’utile erano state riqualificate in compensi per amministratori e ciò è stato confermato in giudizio. Se si analizza il testo della sentenza, risulta però che i prelievi erano eseguiti con cadenza mensile e per importi costanti eccedenti di gran lunga l’utile conseguito dalla società, senza contare che non risultavano forme di finanziamento o di mutuo dalla società verso i soci (C.T. Reg. Milano 15 novembre 2017 n. 4662/16/17).
da Eutekne.info