Fattura generica: a rischio la deduzione del costo

I contribuenti devono prestare particolare attenzione all’emissione delle fatture aventi ad oggetto prestazioni di servizi. Infatti, indicazioni eccessivamente generiche relative alle attività svolte rischiano di compromettere il diritto alla deducibilità del costo oltre che dell’imposta sul valore aggiunto.


Il caso: con la fattura generica, no alla deduzione del costo

L’indicazione proviene dalla Corte di Giustizia di secondo grado della Lombardia che ha fornito un’interpretazione restrittiva delle disposizioni in vigore con la sentenza n. 3331/2/2024. In particolare, il giudice di secondo grado ha affermato che in assenza di una documentazione giustificativa in grado di provare con certezza la natura della prestazione oggetto della fattura, il contribuente non è legittimato alla deduzione del costo in quanto non risulta dimostrata l’esistenza della spesa.
La Corte di Giustizia Tributaria fa riferimento alla previsione contenuta nell’art. 109, commi 1 e 5 del TUIR. Secondo quanto precisato dalla disposizione citata un costo è deducibile in quanto certo, determinato ed inerente, cioè sostenuto nell’esercizio dell’attività di impresa. Inoltre, la deduzione è consentita esclusivamente laddove il costo sia effettivamente sostenuto. Secondo quanto affermato è il contribuente che deve fornire la prova che la spesa sostenuta sia riferibile ad una prestazione di servizi effettivamente resa nell’ambito dell’attività di impresa esercita.
La prestazione in contestazione ed oggetto della controversia davanti alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia riguardava una prestazione di consulenza e assistenza di servizi commerciali gestionali e organizzativi resi da altra impresa. La contestazione riguardava l’eccessiva genericità del contenuto della fattura emessa dal fornitore.
Nel corso del giudizio il contribuente ha fornito un’integrazione della documentazione e quindi ha esibito, oltre alla fattura, il relativo contratto recante l’incarico di consulenza. Anche in questo caso il collegio giudicante ha ritenuto non idonea ai fini probatori l’integrazione della documentazione.
Il contratto riportava, nel caso in esame, l’indicazione di molteplici prestazioni. Il contratto conteneva, tra l’altro, una clausola di chiusura con l’intento di comprendere genericamente qualsiasi servizio utile alla società committente.


Serve la prova dell’inerenza del costo
Secondo i giudici di secondo grado è mancata la prova dell’inerenza del costo rispetto all’attività di impresa esercitata. Infatti, oltre alla genericità della fattura, il contribuente non è riuscito a fornire la dimostrazione neppure con il supplemento della documentazione, cioè l’integrazione della documentazione e quindi con l’esibizione del contratto di consulenza avente ad oggetto le prestazioni di servizi rese.
La prova delle prestazioni effettivamente rese avrebbe potuto essere fornita anche con altri mezzi (considerata l’insufficienza del contratto a tal fine). Ad esempio, uno scambio di messaggi mail in modo da desumere l’attività svolta e le prestazioni di servizi posti in essere avrebbe potuto essere considerata positivamente da parte del giudice di merito.


Le corrette regole di fatturazione
D’altra parte, l’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972 prevede espressamente che la fattura deve contenere l’indicazione della natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto della prestazione. L’indicazione puntuale dei predetti elementi non è casuale in quanto finalizzata a verificare l’inerenza della prestazione rispetto all’attività di impresa o di lavoro autonomo esercitata e la circostanza che la prestazione di servizi sia stata effettivamente resa.
A tal fine è irrilevante che la previsione sia contenuta in una disposizione relativa all’imposta sul valore aggiunto avente senza dubbio rilevanza anche ai fini delle imposte sui redditi.

da Il Commercialista Telematico

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