ASD: la forma non basta, serve attività reale e coerente con le finalità

Una recente pronuncia della Corte di Cassazione – ordinanza n. 5132 del 27 febbraio 2025 – riafferma con decisione un principio già consolidato in giurisprudenza: per poter accedere alle agevolazioni fiscali previste per le associazioni sportive dilettantistiche (Asd), non è sufficiente rispettare i requisiti formali indicati dalla normativa, ma è indispensabile dimostrare, in concreto, lo svolgimento effettivo di attività sportiva dilettantistica senza fini di lucro.

Il caso oggetto del giudizio trae origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, relativo all’anno 2011, nei confronti di un’associazione sportiva dilettantistica con sede ad Ariccia, al quale era stata disconosciuta la qualifica di ente non commerciale. L’Agenzia fondava la sua posizione su numerose anomalie contabili e organizzative rilevate nel corso dell’attività ispettiva, tra cui: l’omessa iscrizione al CONI per l’anno in questione, la mancata riscossione delle quote associative e l’assenza nei rendiconti contabili di una distinzione tra attività istituzionale e attività economica.

Nonostante una prima vittoria in Commissione tributaria regionale, che aveva riconosciuto la validità della partecipazione dell’associazione a campionati federali come prova sufficiente della sua natura dilettantistica, la Corte di cassazione ha ribaltato la decisione. I giudici di legittimità hanno accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, rilevando una violazione sostanziale delle condizioni previste per accedere ai benefici fiscali.

L’effettività prevale sulla forma: il principio affermato dalla Cassazione

La Suprema Corte ha sottolineato come l’esenzione d’imposta prevista in favore delle associazioni non lucrative (ai sensi dell’art. 148 del TUIR e dell’art. 4, comma 7, del DPR 633/1972) non dipenda unicamente dalla forma giuridica dell’ente, ma soprattutto dalla verifica concreta delle attività svolte. Il solo fatto che lo statuto dell’associazione contenga le clausole richieste dalla legge – come la non distribuzione degli utili, la democraticità interna, la gratuità delle cariche associative – non è di per sé sufficiente per qualificare l’ente come non commerciale. È necessario accertare che queste regole siano realmente rispettate nella prassi quotidiana.

Il requisito formale della affiliazione a federazioni sportive riconosciute o enti di promozione sportiva (come previsto dalla Legge n. 398/1991) è condizione necessaria, ma non esaustiva. Serve anche il rispetto del requisito sostanziale, ossia lo svolgimento concreto di attività sportiva dilettantistica priva di finalità lucrative, la cui prova grava sul contribuente.

Il Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche e il nuovo quadro normativo

La decisione in esame si innesta nel contesto normativo aggiornato con il Decreto legislativo n. 36/2021, che ha riordinato l’intera materia relativa agli enti sportivi professionistici e dilettantistici. Ai sensi di tale normativa, la qualifica di associazione sportiva dilettantistica è riconosciuta soltanto a condizione di iscrizione al Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche (RASD), istituito con il D.Lgs. n. 39/2021. Tale Registro, gestito dal Dipartimento per lo Sport, ha valore certificativo ai fini civili, fiscali e amministrativi.

Rispetto al passato, il Registro del CONI mantiene rilevanza solo in ambito sportivo federale, ma non è più sufficiente per garantire l’accesso ai benefici tributari. Le Asd che vogliono fruire delle agevolazioni IVA, IRES e IRAP, nonché delle semplificazioni contabili e contributive, devono dimostrare non solo di essere iscritte al RASD, ma anche di rispettare sostanzialmente i presupposti di legge.

La funzione antifrode del controllo sostanziale

Il chiarimento fornito dalla Corte si muove in linea con l’obiettivo di contrastare fenomeni di abuso del modello associativo, spesso utilizzato per mascherare attività commerciali in realtà imprenditoriali, beneficiando indebitamente di regimi fiscali di favore. È per questo che, nella lettura della Cassazione, la valutazione del giudice tributario non può arrestarsi a una mera verifica formale degli atti (statuto, bilanci, libro soci), ma deve estendersi alla valutazione della condotta concreta dell’ente, anche in termini di modalità operative, struttura dei ricavi, organizzazione delle attività e modalità di distribuzione del patrimonio.

La presenza di ricavi rilevanti derivanti da attività economiche, l’assenza di versamenti di quote associative, la mancata separazione contabile tra attività istituzionale e commerciale, sono tutti indici sintomatici della natura effettivamente commerciale dell’associazione, incompatibile con il regime agevolato.

Il principio dell’onere della prova in capo al contribuente

L’ordinanza conferma che l’onere della prova circa la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi per godere del regime agevolato grava sul contribuente. Tale principio, previsto dall’articolo 2697 del codice civile, comporta che sia l’associazione sportiva dilettantistica a dover dimostrare puntualmente, in caso di verifica, il rispetto delle condizioni prescritte dalla normativa tributaria.

Non rilevano, in assenza di tale prova, eventuali richiami generici a precedenti partecipazioni a campionati, né affiliazioni formali prive di riscontri oggettivi nella gestione. Come ribadito dalla stessa Corte in precedenti decisioni (tra cui le sentenze n. 862/2012, n. 11456/2020, n. 23167/2017 e n. 3900/2023), il giudice deve fondare le proprie valutazioni su elementi concreti, oggettivamente riscontrabili, anche tramite una valutazione critica dei dati contabili e delle modalità di erogazione dei servizi sportivi.

da Redazione Fiscale

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