Vediamo di seguito come comportarsi nella registrazione dei costi, il cui documento di spesa risulta intestato ad un dipendente o un amministratore, anziché alla società, oppure non risulti proprio intestato a nessuno.
Capita di tanto in tanto, per errore o per praticità, che in alcune aziende si debba valutare come registrare dei costi, il cui documento di spesa risulta intestato ad un dipendente o un amministratore, anziché alla società, oppure non risulti proprio intestato a nessuno. In questo caso si deve tenere conto che l’eventuale detrazione dell’Iva è pregiudicata dal mancato possesso di una fattura intestata al soggetto passivo, e si ritiene che non si possa dedurre nemmeno il costo. A differenza del primo punto, che è incontestabile, sul secondo assunto qualche dubbio potrebbe sorgere, posto che l’inerenza di una spesa non si dimostra (solo) con l’intestazione di una fattura di acquisto. Da anni si chiede che sia messo in legge che i semplici estratti conto delle carte di credito possano provare una spesa e la sua inerenza, ma senza risultato.
Fatto sta che i casi oggetto di approfondimento in questo contributo sono connessi all’effettuazione di trasferte.
Per quanto riguarda i casi di personale in trasferta, le spese tipicamente connesse alla trasferta (albergo, ristorante, bar, taxi, biglietti di viaggio, lavanderia, parcheggio) possono tranquillamente essere documentate anche con documenti di spesa anonimi, purché il soggetto che è in trasferta li elenchi in nota spese; è infatti con la nota spese che il dipendente di fatto dichiara di aver sostenuto quella spesa nell’ambito di una attività lavorativa, e la spesa può quindi diventare costo deducibile per il lavoratore. L’elencazione in nota spesa, relativamente ai documenti anonimi, va fatta anche quando gli stessi sono pagati con carta di credito aziendale. In passato è stato riconosciuto che non sono sufficienti solo gli estratti conto delle carte di credito aziendali, ma devono essere procurati i documenti di spesa (in particolare di alberghi e ristoranti). Ricordiamo tuttavia che al di fuori dei casi di vitto, alloggio e trasporto, non è strettamente necessario che vi sia un documento che certifichi la spesa (si pensi alle mance o alle telefonate effettuate con telefono privato), ma è necessario che il dipendente elenchi tali costi nella nota spese. Per quanto riguarda il particolare caso dei biglietti aerei, si ritiene che se non esiste una vera e propria fattura emessa nei confronti della società, il committente del servizio di trasporto di persone è il dipendente, anche nel caso in cui la spesa sia stata pagata con carta di credito aziendale, e magari il biglietto acquistato direttamente dall’ufficio amministrativo.
In questo caso (mancanza della fattura della compagnia aerea verso il datore di lavoro), su quest’ultimo soggetto non ricade nessun obbligo Iva, e come detto potrà dedurre il costo come spesa connessa alla trasferta.
Qualora invece vi sia una fattura intestata al datore di lavoro, da parte di una compagnia aerea estera, senza stabile organizzazione in Italia, il datore di lavoro dovrebbe analizzare eventuali obblighi Iva di reverse charge: con IVA 10% in caso di trasporto nazionale, con articolo 9 sul 38% del corrispettivo in caso di volo Italia-estero o estero-Italia. In caso di volo estero-estero non vi sarebbero obblighi Iva (e nemmeno di esterometro nel caso di costo fino ad euro 5.000). Talvolta il personale in trasferta effettua degli acquisti che non sono propriamente connessi alla trasferta.
A tal riguardo, si ricorda quanto il Ministero delle Finanze ha chiarito con circolare 326/1997: “Si ritiene possano essere esclusi da imposizione quei rimborsi che riguardano spese, diverse da quelle sostenute per produrre il reddito, di competenza del datore di lavoro anticipate dal dipendente per snellezza operativa, ad esempio per l’acquisto di beni strumentali di piccolo valore, quali la carta della fotocopia o della stampante, le pile della calcolatrice, etc.”.
In sostanza, aggiornando quanto espresse il Ministero, si potrebbe inserire in nota spese il costo di acquisto di un caricabatterie di uno smartphone, e perché no, il rabbocco di carburante presso distributore non coperto dalla tessera del veicolo aziendale, ecc… Dal punto di vista Iva, in mancanza di documenti intestati all’azienda (tipicamente alberghi e ristoranti), è evidente che non è possibile esercitare il diritto alla detrazione. L’Iva non detratta costituisce costo deducibile, qualora si “dimostri” che la richiesta di fattura intestata all’azienda comporta costi amministrativi superiori al beneficio della detrazione.
La cosa fu chiarita dalla circolare 25/E/2010, e nel 2011 il CNDCEC stimò che il limite di spesa di albergo o ristorante al di sotto del quale non conviene chiedere fattura intestata all’azienda era di euro 33. Considerata l’inflazione e le complicazioni legate alla fatturazione elettronica (cioè al ricevimento di documenti da SdI senza che vi sia ancora copia degli stessi con indicati i soggetti fruitori e quindi la natura della spesa), io aumenterei – e di molto – quell’importo.
Segnaliamo che con la circolare 25/E/2010 l’Agenzia delle Entrate corresse la precedente interpretazione formulata con la circolare 6/E/2009, poiché in tale ultimo documento si negava in ogni caso il diritto alla deduzione dell’Iva non detratta. Il fatto che ora la Direzione centrale grandi contribuenti ed internazionale della stessa Agenzia, con l’interpello 541/2022, richiami un documento rettificato per formulare le motivazioni della propria risposta, appare per lo meno curioso.
Ultima annotazione riguardo alle spese sostenute da dipendenti in trasferta.
Se gli stessi dovessero avere sostenuto delle spese per acquisti di beni effettuati in territorio extraUE e portati in Italia, avrebbero fatto una importazione. Si pensi alla persona che acquista il caricabatterie dello smartphone a New York, oppure un avvitatore a Sarajevo, e poi li porta in Italia. È verosimile che la persona in trasferta non abbia le conoscenze della normativa Iva tipica dell’amministrativo, ed al rientro in Italia non si fermi alla dogana per curare la procedura di importazione. In questo caso, essendo comunque beni aziendali, pagati verosimilmente con carta di credito aziendale, è l’azienda che si qualifica come importatore, e quindi – in mancanza di una dichiarazione doganale effettuata all’atto dell’introduzione di tali beni nel territorio nazionale – deve fare una dichiarazione doganale di importazione a posteriori.
da Euroconference News